Dopo il lockdown: apocalisse zombie o invasione aliena?

Ormai da qualche giorno siamo in fase 2 anche qui a Jakarta. Oggi è anche il novantesimo giorno senza scuola per noi. In questi tre mesi senza asilo – non avendo tempo per coltivare i miei hobby o per diventare una supergnocca facendo mille ore di palestra al giorno – ho avuto un’illuminazione sui sentimenti che provano i personaggi dei film apocalittici, quelli in cui i protagonisti restano anni chiusi in un rifugio mentre fuori ci sono gli zombie. Ma almeno loro non hanno la didattica a distanza…

Perchè tra affrontare un’orda di zombie e fare un’ora di lezione on line con un bambino di quasi 4 anni è facile scegliere. E se scegliete la didattica a distanza vuol dire che non avete figli piccoli! Non tirate fuori la solita storia del “riscoprire le piccole cose”, di quanto sia bello imparare le frazioni panificando con il lievito madre, di come sia istruttivo intrecciare ceste con i bambini sempre a casa. Dai commenti che leggo sui social non mi sembra che siamo usciti “migliori” da questa quarantena: fare a pugni per un rotolo di carta igienica può far sperare in un mondo migliore? La quarantena ha solo peggiorato le cose.

In questi novanta giorni a casa ho avuto tempo per uno studio sociologico sul campo, soffermandomi sui comportamenti sociali di certi film apocalittici: quelli in cui gli umani  rimasti sono solo una manciata, di cui la metà psicopatici. La verità è che i sociopatici presenti nel film non lo erano prima dell’apocalisse zombie, sono diventati così dopo. Sono i classici vicini di casa che “salutano sempre” e poi con l’apocalizze tàc, sono diventati dei maniaci con mazza ferrata in mano. Il copione del film è sempre lo stesso: zombie ovunque, quattro superstiti si trovano insieme nello stesso rifugio a dover dividere le provviste, fare i turni per uscire a procacciarsi il cibo, sopportare le manie altrui, decidere se lasciare il rifugio per trovarne uno migliore o restare col rischio di essere attaccati dagli zombie o da altri gruppi di sopravvissuti (psicopatici anch’essi).

Durante la quarantena è stato lo stesso, salvo per gli zombie (ma con didattica a distanza, eh!). Quattro persone si trovano a vivere nello stesso rifugio: una famiglia, una coppia, dei coinquilini. Ricordate quando avete affittato quella stanza in un appartamento pensando «tanto ci dormo e basta, passo tutto il mio tempo al lavoro o in palestra, chìssene di come sono i coinquilini»? Pensateci per la prossima pandemia. Quattro persone si trovano a dover dividere le provviste: avete provato con un figlio di quasi 4 anni perennemente affamato che vi ruba il cibo dal piatto? Secondo Leo le porzioni che faccio non sono mai abbondanti. Faccio 3 pizze: e la quarta? Gli do un biscotto: ma io ne volevo due. Prendiamo il gelato domenica: e lunedì no???? La frase più gettonata da Leonardo durante la quarantena è stata «mamma, io sono fame». Ecco la fame che può avere un bimbo: lui è la fame, la fame personificata. Potrebbe essere il titolo del nostro film zombie autobiografico: «Io sono fame».

Vi siete ritrovati a fare i turni per andare al supermercato perché è l’unica possibilità di prendere aria. E avete sopportato le manie altrui: davvero volete parlarne? Se non vi siete scannati durante la quarantena siete la famiglia perfetta da Mulino Bianco. Anche se avete ammazzato tre volte il lievito madre, minacciato vostro figlio di uccidere Peppa Pig e odiate fare il pongo con sale e coloranti alimentari, sappiate che siete una famiglia modello per il solo fatto di essere sopravvissuti. Anche perché adesso che la quarantena è finita possiamo ammetterlo: chi cavolo tiene a casa coloranti alimentari in 50 sfumature???? Che mi chiamo Muciaccia? Senza contare che può essere divertente la prima mezz’ora, ma da qui a farselo piacere per le restanti 23 ore e mezza della giornata ce ne passa… Per non parlare del disastro da pulire.

La verità è che nei film zombie la gente entra nel rifugio come una persona normale ed esce sociopatico. Ma è ovvio: dopo 90 e più giorni a vedere lo stesso colore delle pareti, a sentire sempre lo stesso tono di voce, a vedere sempre le stesse facce, un po’ di sociopatia viene naturale. E pensate a quelli che erano a casa da soli. So di storie raccapriccianti di gente che ha dialogato con il frullatore, che è scappata imbarazzata dalla cucina perché il ketchup e la maionese stavano limonando. Poi ci sono quelli che hanno rischiato un infarto per andare a correre pur di uscire di casa: neanche avevano un paio di scarpe da tennis e non avevano mai pronunciato la parola jogging, eppure sono andati a correre per prendere aria. Di solito erano gli stessi che urlavano “untori!” ogni volta che una mamma voleva portare a pascolare un bambino: perché il cane ha diritto alla pisciata, ma il bambino no. Più sociopatici di così? In un film zombie questi individui si danno al cannibalismo, mettono su casette di marzapane solo per fare Gretel in salmì.

Sul finire di questo lockdown non possiamo dire di essere diventati migliori. Forse un po’ più grassi. Un po’ più ubriaconi. Un po’ più sociopatici. I discorsi di alcune mamme sui gruppi whatsapp hanno attraversato diverse fasi: «scuola sì ma in sicurezza, però niente mascherine e niente plexiglas. Ok aspetto il vaccino e poi esco; però settembre è troppo presto per un vaccino, chissà cosa c’è dentro». Perché non volete dirmi che sono persone normali quelle che pensano che col vaccino vi impianteranno un microchip… O forse erano così anche prima del lockdown? La quarantena non ci ha cambiati (in peggio) ma ha solo fatto emergere la vera essenza del nostro (vostro?) “io”? Allora ciò che abbiamo visto non è psicopatia da apocalisse zombie, è più simile a un’invasione aliena: esistono e camminano tra noi!

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